– La notizia della morte del premio Nobel per l’economia del 2009 Elinor Ostrom ha colto molti di sorpresa. Sicuramente il sottoscritto, che il prossimo venerdì vi avrebbe proposto su questo webmagazine un confronto tra le idee della signora Ostrom e quelle dell’economista che aveva vinto il Nobel l’anno precedente, Paul Krugman. Due pensatori americani a modo loro controversi, il cui contributo alla teorica economica non potrebbe partire da premesse e giungere a conclusioni più diverse. Ma oggi mi par giusto parlare solo di lei, di Elinor Ostrom, offrendo ai lettori di Libertiamo.it la piccola testimonianza diretta di chi si è trovato appena qualche settimana fa ad assistere ad una sua conferenza.
Parlando alla platea dell’Institute of Economic Affairs (IEA) in onore del 21esimo anniversario dalla scomparsa di Friedrich von Hayek, Ostrom illustrò il suo paradigma di ricerca sul governo dei beni comuni, l’argomento che le era valso il Nobel. I Commons sono quei beni che, secondo la famosa Tragedia pubblicata su “Science” nel 1968 dal biologo Garrett Hardin, se lasciati a libero consumo di invidui razionali e portatori di interessi, subirebbero un destino di sovra-sfruttamento conducendo a un equilibrio socialmente inefficiente. Il modello, che per la sua semplicità si presta a molte facili applicazioni, è stato presto adottato dalla retorica ambientalista che ne ha fatto spesso un feticcio per denunciare di volta in volta l’esaurimento di alcune risorse naturali, la pesca selvaggia, fino a creare il mito del sovrappopolamento e la necessità della “decrescita”.
L’originalità dell’analisi di Ostrom, scienzata ed economista della politica poco incline alla mania di ridurre realtà complesse in eleganti quanto spesso sterili modellini matematici, è consistito nell’aver ideato un rivoluzionario paradigma in cui inquadrare questi problemi. Lungi dal proporre soluzioni uniche a mano visibile la signora Ostrom ha studiato sul campo decine di esempi di Common Pool Resources che, senza l’intervento della regolamentazione governativa, producono equilibri sostenibili e promuovono gli interessi collettivi e a lungo termine di tutti i partecipanti. Gli esempi vanno dalla struttura degli alpeggi in alcuni remoti villaggi della Svizzera, all’irrigazione dei campi nelle regioni più aride della Spagna, allo sfruttamento ittico nel sud-est asiatico. I capisaldi della teoria sono il livello di fiducia nelle istituzioni, quali strutture di enforcement del diritto, pene per i trasgressori progressivamente più severe per i recidivi, fori per la risoluzione dei conflitti, meccanismi di monitoraggio dell’utilizzo delle risorse, accountability degli invididui preposti al controllo e alla comminazione delle sanzioni.
Quel che è ancor più interessante é notare come, sebbene Ostrom abbia ribadito a lungo che la sua teoria rappresenti un’alternativa ai due estremi governo-mercato, le soluzioni proposte, così come il paradigma di ricerca, siano molto affini alla più classica tradizione liberale e di libero mercato. Se infatti é vero che il sistema di prezzi nelle comunità studiate da Ostrom é spesso sostituito da forme di organizzazione “gerarchica” si tratta sempre di istituzioni e regole a cui gli individui danno il loro pieno e libero assenso. Inoltre in tutti i casi le strutture organizzative sono il frutto di un’evoluzione spontanea e sono flessibili al cambiamento purché esso avvenga in forme unanimamente accettate. Dovendo isolare uno tra i tanti contributi della professoressa Ostrom sceglierei proprio questa capacità di aver dimostrato nei fatti, prima ancora che a livello teorico, come un’organizzazzione spontanea e complessa sia capace dare soluzioni semplici a problemi insolubili per le organizzazioni frutto del disegno intenzionale.
Che la terra le sia lieve.